L'anguilla europea rischia di scomparireIl fondatore di Forza Italia ha saputo interpretare le radici populiste dell’Italia profonda,Professore del Dipartimento di Gestione del Rischio di BlackRock ma senza passatismo. La fine della sua parabola è stata segnata dall’arrivo di due mutamenti: uno tecnologico e uno generazionaleCon Silvio Berlusconi ha preso corpo una cultura politica per certi aspetti inedita, e per altri di antiche e solide radici nazionali, che il Cavaliere è riuscito a intrecciare in maniera originale. Berlusconi ha dato piena rappresentanza al neo-conservatorismo, e in parte al neo-liberismo, quella corrente ideologica che ha attraversato l’occidente a partire dai primi anni Ottanta e che non aveva mai trovato interpreti in Italia.Allo stesso tempo, ha ibridato tale ideologia con visioni e valori che esprimono un basso continuo di lungo periodo della cultura politica nazionale: familismo e nazionalismo, pulsioni anti-istituzionale e ribellismo, appello al popolo e disdegno della legge. E, per cementare il tutto, il fascino del capo.Il pastiche di nuovo e vecchio che ne è risultato ha avvinto pezzi diversi della società italiana, che vanno dalle componenti più marginali e alienate a quelle più arrembanti e desiderose di affermazione e di prebende. Il tutto avvolto in una confezione suadente e brillante che solo un maestro della comunicazione come il leader di Forza Italia poteva fornire.Bifronte Berlusconi si connota come un Giano bifronte: immerso nelle radici anti-statuali, anti-politiche e sostanzialmente populiste dell’Italia profonda, «con uno sguardo indulgente all’indole dei cittadini» come scrisse Edmondo Berselli, e allo stesso tempo proiettato nella post-modernità dell’immateriale e dell’immaginifico dove i contorni del reale sfumano.Il Cavaliere non rappresenta tuttavia soltanto un’Italia “ipopolitica” secondo l’interpretazione di Giovanni Orsina, perché quella tradizione di disinteresse e distanza dalla politica, nella storia d’Italia, è avvinta all’arretratezza, a un conservatorismo piccino e gretto, alla paura di tutto ciò che è nuovo ed estraneo, ad un provincialismo da strapaese.Di quel piccolo mondo desueto, più che antico, Berlusconi raccoglie le spoglie, ma solo perché non c’è più nessun altro a reclamarle dopo il crollo dei partiti storici, nemmeno i nostalgici possono farlo, troppo rapiti da un passato impresentabile ai più. Solo che, con quelle sole spoglie, Berlusconi non sarebbe andato oltre la riverniciatura di un benpensantismo da destra clerico-fascista e da maggioranza silenziosa anni Settanta.Il fondatore di FI invece sfonda perché è rivoluzionario, non passatista. Perché raccoglie le domande di una società civile in fermento sia sul piano economico-sociale, sia su quello politico. Raccoglie il sentiment di una stagione libertaria, disinvolta, che costeggia la dissacrazione.Raccoglie ciò che è stato seminato da altri: dal libertarismo pannelliano, dal craxismo rampante e yuppista, dalla antipolitica innescata da Mani pulite. Anche se Berlusconi verrà colpito dalle inchieste e dalle condanne, al suo primo apparire si fa paladino di una società civile sana, opposta a una classe politica marcia e corrotta.L’immagine di uomo d’impresa prestato alla politica gli ha consentito di mantenersi in equilibrio tra società e palazzo e di non essere percepito, per molto tempo, come uno della casta. Il linguaggio così accuratamente studiato, le simbologie adottate, l’irritualità dei comportamenti e, infine, la stessa politica del corpo sono serviti a tracciare una linea divisoria tra lui e tutti gli altri politici di lungo corso.Questa differenziazione, necessaria per poter essere libero dai condizionamenti della politica in senso lato – prassi, istituzioni, regole, aspettative di ruolo – è stata perseguita con coerenza e grande efficacia nel corso degli anni. Ed è stata una scelta rivoluzionaria, trasgressiva. CulturaChiedi chi era Silvio. Il giovane Berlusconi spiegato a chi non ha conosciuto il mondo senza di luiAlice Valeria OliveriL’insofferenza della societàBerlusconi si muove fuori dagli schemi consolidati non solo perché è crollata l’impalcatura politica tradizionale, ma anche perché interpreta una società insofferente e volitiva. All’inizio, il Cavaliere è il calco perfetto di quel mondo vitale e operoso, insofferente di lacci e lacciuoli di ogni tipo, in cui l’individualità sfonda gli argini delle costrizioni collettive sia in senso post-materialista e libertario, sia in senso economico-acquisitivo per far soldi e salire ai piani alti della scala sociale.Quella società, che arriva a piena maturazione negli anni Ottanta, chiede di essere rappresentata da uno di loro. Craxi non poteva farlo perché veniva da un altra cultura e un altro mondo, quello novecentesco delle fabbriche, che stanno scomparendo lasciando spazio all’immateriale.Berlusconi invece non ha alcuna difficoltà a sintonizzarsi con questo nuovo ceto acquisitivo, che non cela più i dané e gli schei guadagnati, e anzi li esibisce orgoglioso, affermando al contempo un coté edonista, attraversato dal principio del piacere: non ha alcuna difficoltà anche perché quel ceto lo ha in buona misura forgiato lui stesso, attraverso le sue televisioni. CulturaTra tic e metafore, Berlusconi ha cambiato il nostro modo di parlareRaffaele SimoneI tre fallimenti La parabola del berlusconismo termina sotto il segno di tre fallimenti: la costituzione di un grande partito liberal-conservatore ridotto a una formazione patrimoniale-populista con tratti carismatici, del tutto soggetta alle decisioni insindacabili del capo e priva di una dinamica intra-partitica democratica; la prospettiva di un nuovo miracolo italiano, che invece si è trasformato nell’incubo del regresso, per politiche economiche inefficaci, ben al di là dell’impatto esterno della crisi internazionale; l’evanescenza della sempre riproposta rivoluzione liberale per l’adagiarsi su interessi settoriali, corporativi e persino personali, per la radicalizzazione esasperata del conflitto politico, per la commistione tra azione individuale e responsabilità collettiva, per l’abbattimento del confine tra sfera pubblica e sfera privata e infine per la torsione populista della visione e della prassi politica, antitetica all’ideologia liberale.Questi fallimenti sono inequivoci ma sarebbe liquidatorio fermarsi qui. Se questo trentennio porta il segno del Cavaliere significa che qualcosa, e ben più di qualcosa, è rimasto.In estrema sintesi, una cultura politica che in parte si è connessa con quel basso continuo della nostra storia nazionale di diffidenza per l’imperio della legge e di debole, a volte debolissima, legittimità delle istituzioni; in parte si è espressa in un individualismo debordante, vitalista e senza argini; e in parte ha infranto le barriere del reale e del razionale favorendo, come da antica tradizione, fughe in avanti e aspettative miracolistiche che solo un capo può soddisfare. ItaliaIl centrodestra non è mai stato un progetto, era una personaMarco DamilanoI cambiamenti Oltre a questo bilancio deludente, il tramonto di Berlusconi si connette con due ineluttabili cambiamenti, tecnologici e generazionali.L’uomo della comunicazione televisiva non ha retto al declino del suo medium principe. L’irruzione di internet, e di chi se ne impossessato per primo, Beppe Grillo, lo ha scalzato dalla centralità. C’è un passaggio implicito quanto coerente tra il Cavaliere e il leader dei Cinque stelle che non riguarda solo il cambio di tecnologia, che pure ha una importanza decisiva, bensì, anche e soprattutto, la retorica populista e antipolitica.Berlusconi è restato troppo a lungo al potere, al vertice delle istituzioni per interpretare ancora credibilmente il sentimento antipartitico che tracima dalla società all’inizio degli anni 2010. È l’arrivo sulla scena politica dei Cinque stelle e del suo trascinante leader ad eclissare definitivamente Berlusconi, che non ha più il tocco per raccogliere quell’elettorato mugugnate e iroso che lo aveva seguito così a lungo.Anche perché allora sognava un futuro migliore sulla scia del suo mentore e ora, atterrito e atterrato dalla crisi economica, schiuma solo di rabbia contro il sistema. Il populismo in doppio petto non poteva che ingaglioffirsi di fronte al mutato contesto socio-economico. L’eclisse berlusconiana si incrocia quindi con l’emergere di un nuovo attore politico che gli sottrae la retorica antiestablishment.E quando anche i pentastellati si istituzionalizzano è troppo tardi per recuperare. E poi negli ultimi anni sono emersi e dominano la scena altri leader a destra, come a sinistra, – da Renzi a Salvini, da Meloni ai due dioscuri del grillismo arrembante, Di Maio e Di Battista – che sono di quasi due generazioni più giovani. Crono ha imposto la sua legge.Il populista in doppiopetto. Berlusconi e la politica italiana (Il Mulino 2024, pp. 192, euro 15) è un saggio di Piero Ignazi © Riproduzione riservataPer continuare a leggere questo articoloAbbonatiSei già abbonato?AccediPiero IgnazipolitologoProfessore ordinario, insegna al dipartimento di scienze politiche e sociali all'Università di Bologna. Dal 2009 al 2012 ha diretto la rivista Il Mulino.
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