Corea del Nord, chi indossa jeans attillati "occidentali" rischia la pena di morteL'iniziativa di Domani,MACD Libération, Tagesspiegel, El Confidencial, Hvg, Gazeta Wyborcza, Delfi, Balkan Insight e n-ost vuole vitalizzare il dibattito pubblico e la democrazia europea. Agli alberi a rischio tra crisi climatica ed energetica è dedicata la sedicesima edizione della nostra newsletter paneuropea, che esce ogni mercoledì ed è gratuita. Iscriviti qui Eccoci di nuovo insieme, Europa! Siamo alla sedicesima edizione dello European Focus! Sono Nelly Didelot, la caporedattrice di questa settimana, e scrivo da Parigi. In Moldavia, dove ero inviata un paio di settimane fa, molte famiglie hanno rinunciato al gas, che è diventato troppo costoso, per fare ritorno alle vecchie stufe a legna. A sua volta, la legna da ardere è diventata talmente costosa, che i pensionati vivono al freddo e si concedono di accendere il fuoco solo una volta al giorno. Nei territori liberati dell’Ucraina, la gente rischia addirittura la vita per raccogliere e spaccare la legna. In Francia, dove vivo, molti dei miei amici che si sono spostati in campagna hanno scelto di riscaldare le proprie case con le stufe a pellet. Hanno pensato di aver trovato una soluzione economica ed ecologica. Ma quest’anno la domanda è così alta che i sacchi di pellet sono quasi scomparsi dagli scaffali dei negozi. Una volta, il nostro pellet veniva importato dalla Russia e dall’Ucraina; invece ora una buona parte viene dalla Spagna. Da un capo all’altro dell’Europa, stiamo cercando di porre fine alle nostre dipendenze energetiche dalla Russia. Dobbiamo anche trovare delle soluzioni che siano meno dannose per il clima. Incoraggiare l’abbattimento degli alberi, probabilmente, non è la decisione più saggia, dal momento che abbiamo bisogno che le foreste svolgano il loro ruolo di serbatoi di carbonio. Nelly Didelot, caporedattrice di questa settimana EuropaNove media creano un appuntamento settimanale per il dibattito europeoFrancesca De Benedetti Trincee al posto degli alberi Il deserto di Oleshky: in alcune parti di questo deserto, l’unica cosa che si riesce a vedere è la sabbia. Nell’immagine, un’area mista. Foto: Khers-on.com. KIEV – Quando ero bambino, raccogliere la legna da ardere era un’attività spesso legata a doppio filo a situazioni di pericolo. Sono cresciuto in un villaggio vicino alle sabbie di Oleshky, un deserto naturale vicino a Cherson. Secondo la leggenda, alcuni secoli fa questo stesso luogo era una distesa di prati; ma i cavalli e le pecore dell’esercito invasore dei Tatari di Crimea mangiarono tutta l’erba. Ai tempi dell’Unione sovietica, dopo la seconda guerra mondiale, qui furono piantate delle pinete. Gli alunni delle scuole disposero i semi lungo file diritte: perciò, viste dall’alto, queste foreste ricordano capelli ben pettinati. Tuttavia, il cuore di quest’area rimaneva per lo più senza alberi, e l’esercito sovietico decise di trarne vantaggio. Vi furono lanciate migliaia di bombe, mentre le forze armate testavano la propria potenza. Alcune delle bombe furono provviste di paracadute e, ora, molte delle persone dei villaggi vicini ne tengono uno nelle proprie case, poiché il tessuto di cui sono fatti è utile per pulire le verdure appena colte prima di portarle al mercato. Gli abitanti del luogo si avventuravano in questa foresta-deserto per raccogliere la legna, a volte perdendo la vita a causa di un ordigno inesploso. Durante il secolo attuale, però, il posto è diventato un’attrazione turistica piuttosto sicura. Non ho mai visto così tante stelle nel cielo come durante la notte che ho passato in quel luogo. L’anno scorso ci sono arrivati i russi. Hanno abbattuto diversi alberi per costruire le trincee e hanno utilizzato il deserto come campo di addestramento. Il posto è diventato di nuovo pericoloso. Lo stesso è successo nel caso di molte altre foreste nelle aree occupate dell’Ucraina. L’esercito russo vi ha deposto le proprie armi, vi ha scavato delle trincee o vi ha sepolto le vittime. Durante la propria ritirata, i russi hanno minato massicciamente tutto. Chi si avventura nelle foreste intorno a Izjum, a Buča o a Lyman, non sa mai se riuscirà a tornare indietro. Per un’orribile coincidenza, l’infrastruttura è spesso distrutta in questi insediamenti. Le iniziative dello stato e dei privati per garantire il riscaldamento non coprono i bisogni di tutti quanti, per cui molti degli abitanti si ritrovano a dover abbattere gli alberi per poter riscaldare le proprie abitazioni, anche affrontando il rischio di incappare nelle bombe o in una multa per taglio illegale di legname. «Le temperature sotto zero mi spaventano più di queste minacce», ha detto ai cronisti un tagliaboschi di Izjum. Gli invasori trasformano in deserto diversi luoghi dell’Ucraina, di nuovo. La nostra unica speranza è che, prima o poi, la vita vi faccia ritorno. Anton Semyzhenko cura la sezione in lingua inglese di Babel.ua Il numero della settimana: 10 metri cubi BUDAPEST – I prezzi alle stelle hanno trasformato la legna da ardere in un bene prezioso in Ungheria. Per gestire questa crisi, il governo ha proseguito con la sua solita attitudine: quella di porre dei tetti ai prezzi, stavolta sulla legna da ardere. Ogni nucleo familiare ha potuto comprarne 10 metri cubi a un prezzo agevolato tra i 30 e i 76 euro, ossia una quantità più o meno sufficiente a riscaldare una casa media durante l’inverno. Ma quando i prezzi sono più bassi, la domanda è più alta. Le società forestali parastatali sono rimaste a corto di legname da vendere, mentre i rivenditori privati hanno triplicato i propri prezzi. Il governo quindi ha pensato di risolvere la questione così: alleggerendo le norme relative al disboscamento delle foreste del paese. A migliaia, in Ungheria, hanno protestato, costringendo così il ministero a retrocedere; questa è stata una dimostrazione che anche in situazioni emergenziali l’ambiente dev’essere una priorità. Viktória Serdült è una giornalista di HVG La corsa all’oro scuro I mercati dell’energia dell’Europa occidentale impazziscono per il pellet spagnolo. Foto: EFE/G.Licovski MADRID – Quando per qualcuno si chiude una porta, per qualcun altro si apre una finestra. È il caso del pellet di legno spagnolo, che ha avuto un boom di esportazioni nel 2022. Questo biocarburante, fatto di legno pressato, è un prodotto di esportazione così richiesto che gli autoctoni hanno iniziato a chiamare il pellet “oro marrone”. L’utilizzo sempre maggiore, in Europa, di biomassa, che costituisce fino al 60 per cento di tutta l’energia prodotta da fonti rinnovabili, e l’invasione russa dell’Ucraina, hanno ribaltato il mercato energetico europeo. Così la Spagna ha deciso di cogliere la sua occasione. La Russia era il maggior fornitore di pellet verso il “vecchio continente”. Di questi tempi, con l’embargo imposto sia su Mosca che su Minsk, alcuni paesi europei importatori, come l’Italia e il Regno Unito, stanno lottando per trovare delle forniture di questa preziosa sostanza. Ora è la Spagna a colmare questa lacuna del mercato. Grazie alle norme dell’Ue che agevolano le esportazioni, l’anno scorso la quantità di pellet spagnolo venduto all’Italia è aumentata del 67,1 per cento. Inoltre, 11.593 tonnellate ne sono state spedite verso il Regno Unito. Il paese iberico forniva già pellet a Londra prima della Brexit, con un picco raggiunto nel 2017. Dopo che il Regno Unito è uscito dall’Ue, la Gran Bretagna ha iniziato a comprare il pellet dalla Russia, facendo crollare le cifre spagnole a meno di un terzo. Con la tendenza generale ad allontanarsi dalle fonti di energia russe, i consumatori britannici sono ritornati a importare il biocarburante dalla Spagna, con un aumento delle vendite nel 2022 del 15,1 per cento rispetto al 2021. Ma la vera fortuna i rivenditori spagnoli di pellet la fanno in Francia, dal momento che nel 2018 il suo governo ha deciso di promuovere l’utilizzo della biomassa, principalmente per il riscaldamento. I risultati sono stati particolarmente notevoli l’anno scorso, quando le esportazioni sono aumentate del 148,9 per cento. Con sempre più famiglie francesi che scelgono questa alternativa, è poco probabile che il pellet spagnolo perda popolarità, anche dopo la fine della guerra. Ana Ruiz è una datajournalist di El Confidencial «Che tutto arda!» Lo smog sta calando su tutte le maggiori città polacche, principalmente a causa della combustione di materiali illegali: Cracovia, novembre 2022. Foto: Jakub Wlodek / Agencja Wyborcza.pl VARSAVIA – «Dovete riscaldarvi bruciando qualsiasi cosa in questo momento, tranne, ovviamente, copertoni e cose del genere. Bisogna riscaldare la Polonia». Questo è ciò che Jarosław Kaczynski – leader del Pis, il partito al governo – ha detto lo scorso settembre dopo l’entrata in vigore dell’embargo dell’Ue sul carbone russo. Da allora, il prezzo della legna da ardere è raddoppiato nel paese, dove il 28,8 per cento delle famiglie ne fa uso per il riscaldamento domestico. Un abitante della Polonia settentrionale di 34 anni ha fatto sue fino in fondo le parole di Kaczynski. E quando una pattuglia della polizia municipale ha bussato alla sua porta allo scopo di multarlo per aver bruciato materiali non autorizzati, lui ha dichiarato che era stato Kaczynski ad avergli concesso pubblicamente il permesso di farlo. Ha rifiutato di pagare la multa di 500 złoty (circa 105 euro). La questione finirà in tribunale, che probabilmente emetterà un verdetto di colpevolezza: le parole del leader del Pis non hanno valore legale. Michał Kokot fa parte della redazione Esteri di Gazeta Wyborcza L’uomo che sussurra agli alberi BERLINO – Markus von Willert dirige waldhilfe.de, un sito che offre consulenza ai proprietari di aree forestali. Ha anche lavorato come esperto di foreste e sostenibilità per l’Associazione federale tedesca dell’industria del legno e delle segherie (DeSH). Quali sono le sfide per la gestione forestale di fronte al cambiamento climatico? Le variazioni rispetto alle condizioni di partenza si notano principalmente nel cambiamento delle precipitazioni, di siccità e alte temperature. Tutto ciò conduce a uno stress e a un indebolimento degli alberi, cosa che, a sua volta, consente agli insetti di invadere più facilmente le piante. Un esempio può essere quello del bostrico tipografo, che in Germania ha attaccato enormi aree negli ultimi anni. Il risultato è che le foreste sono al collasso. Finora, l’attenzione si è concentrata solamente sulle conifere. Nei luoghi in cui esse crescono in monocolture create dall’uomo e ad altitudini più elevate, sono molto instabili. Questo già lo sapevamo. Ma adesso stiamo notando un indebolimento delle foreste laddove non ce lo saremmo mai aspettato. Persino le faggete semi-naturali soffrono a causa del cambiamento climatico. Come dovremmo trasformare le foreste per poter continuare a raccogliere il legname in futuro? Dobbiamo trovare un modo per poter comunque ottenere il legno dagli alberi, poiché ne avremo urgente bisogno nei prossimi decenni, per esempio nell’edilizia. D’altro canto, dobbiamo pensare a come rendere gli alberi più resilienti: meno vulnerabili allo stress dovuto alla siccità, alle alte temperature e agli insetti. Tuttavia, ciò non avverrà rapidamente, poiché le scelte che facciamo oggi per le foreste dovranno durare fino a duecento anni nel futuro. Cosa consiglia? Una diversificazione dei rischi è la cosa più sensata: si raccomanda di mischiare specie differenti di alberi, come anche di includere specie alloctone nel mix. Tuttavia, questo porta spesso a uno scontro con i conservazionisti che, classicamente, vogliono soltanto specie native di alberi nelle foreste. Ma il nostro clima non sarà più “naturale”, comunque. Le specie mediterranee di alberi, o quelle del Nord America, potrebbero avere, potenzialmente, molte più possibilità di affrontare il clima nei prossimi cento o duecento anni. Teresa Roelcke è una giornalista di Tagesspiegel © Riproduzione riservataPer continuare a leggere questo articoloAbbonatiSei già abbonato?Accedia cura di Francesca De Benedetti Europea per vocazione. Ha lavorato a Repubblica e a La7, ha scritto (The Independent, MicroMega), ha fatto reportage (Brexit). Ora pensa al Domani.Short bio Twitter account
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