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Alice Sabatini, il matrimonio con Gabriele Benetti: l'abito da sposa con le piume, la location e gli invitatiMilano,Guglielmo 2 ago. (askanews) – Uno studio condotto dall’Istituto sull’inquinamento atmosferico del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Iia) di Rende (Cosenza) ha determinato, per la prima volta, la “firma” dell’inquinamento antropogenico da mercurio – in termini di settori di emissione e regioni geografiche di provenienza – sul consumo di pesce proveniente dalle diverse zone di pesca dell’Organizzazione delle Nazioni unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (Fao). La ricerca, pubblicata sulla rivista Environment International, ha incrociato modelli numerici e informazioni reperite in banche dati rese disponibili da istituzioni internazionali, tra cui i dati riferiti all’inventario globale delle emissioni di mercurio Amap/Unep 2013, e ha quantificato il mercurio antropogenico emesso nel 2012 e depositato nel corso dello stesso anno nelle diverse zone di pesca. I ricercatori hanno, quindi, valutato la persistenza di tale inquinante tramite l’analisi del pesce consumato negli anni successivi (anni 2012-2021, il mercurio, infatti, è un inquinante persistente che ha effetti a lungo termine negli ecosistemi), e stimato la sua firma in percentuale, sul pesce proveniente dalle varie “zone di pesca” consumato nel mondo. Se nel Mar Mediterraneo – ovvero la zona di pesca 37 – l’impatto maggiore è dato dalle emissioni di mercurio dagli impianti di produzione di energia presenti in Europa, a livello globale emerge che il settore produttivo che ha maggiore impatto in tutte le zone di pesca è quello delle miniere d’oro artigianali e su piccola scala (Asgm), mentre l’area geografica in cui sono maggiori le emissioni che favoriscono la contaminazione da mercurio è l’Asia Orientale. Per quanto riguarda il Mar Mediterraneo, tra gli impianti di produzione di energia, quelli alimentati a carbone contribuiscono in modo quasi totalitario (oltre il 95%) all’inquinamento da mercurio. La maggior parte di queste emissioni provengono dall’Europa centrale e orientale (quasi il 40%) e dalla Germania (il 25%), mentre l’Italia contribuisce solo per il 2%. Altri settori individuati come fonti di emissioni sono -oltre alle miniere d’oro artigianali e su piccola scala – la produzione industriale di oro, la produzione di cloro-alcali; la combustione per la produzione di energia nell’industria; la combustione residenziale; la produzione di cemento; la produzione di vetro; le industrie non ferrose; le industrie del ferro e dell’acciaio; l’attività di incenerimento dei rifiuti; e il trasporto su strada. Le regioni scelte per tracciare la provenienza delle emissioni sono invece Stati Uniti e Canada (NAM); Europa e Turchia (EUR); Asia meridionale (SAS); Asia orientale (EAS); Asia sudorientale (SEA); Australia e Nuova Zelanda (PAN); Africa settentrionale (NAF); Africa subsahariana (SAF); Medio Oriente (MDE); America centrale (MCA); America meridionale (SAM); Russia e Asia centrale (CIS); Circolo polare artico (ARC). -->

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Professore del Dipartimento di Gestione del Rischio di BlackRock

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