Filippine, esplode un deposito di fuochi d'artificio: cinque vittimeNord Italia,investimenti Est Europa, Malta. Dove sono finiti i soldi del padrino? Con il pentimento adesso la rete degli affari potrebbe dissolversiNella lunga carriera criminale di Francesco Schiavone, il boss del clan dei Casalesi conosciuto con il soprannome di “Sandokan”, si scorgono decine di sentieri battuti per accumulare profitti. Alcuni di questi affatto esplorati e altri sui quali c’è stato un sorvolo investigativo solo in superficie.È stato detto e scritto molto del traffico di rifiuti, delle relazioni con i big della politica locale e nazionale, sono state spese moltissime parole sugli accordi di cui Schiavone potrebbe essere a conoscenza con le grandi aziende dei lavori pubblici.Tuttavia c’è un capitolo tutto o quasi da scrivere: quanto vale il tesoro della famiglia. E che fine ha fatto? Dove è custodito? Possibile che il malloppo accumulato in 30 anni di dominio criminale sia limitato in decine di sequestri di beni con conseguenti confische definitive di immobili, aziende e attività commerciali? No, non è plausibile che il patrimonio complessivo sia quantificabile nei possedimenti di qualche decina di imprenditori arrestati per aver prestato il nome e le imprese per riciclare denaro.Il livello è più alto, credono gli investigatori antimafia. Ma in questi anni di inchieste, che hanno certamente puntato anche al livello finanziario, è mancato sempre l’ultimo gradino per guardare dall’alto e nella sua completezza il potere economico di Schiavone. GiustiziaAnche Sandokan si è pentito, se vuole può terremotare tuttoNello TrocchiaCaccia al tesoroLa domanda di partenza è una sola: in quale forziere sono custoditi i soldi e i segreti del boss che ora ha deciso di collaborare con la giustizia? Se per Michele Zagaria, altro capo clan della triade al vertice dei Casalesi, le indagini dopo il suo arresto hanno condotto in Romania, dove si trovava parte del tesoretto fatto di immobili e società di capitali, per Schiavone le strade portano verso l’Emilia-Romagna e la Lombardia, e da qui dritti a Malta, l’isola paradiso fiscale dell’Europa.Lì nel cuore del Mediterraneo dove moltissimi clan hanno spostato quattrini attraverso società di comodo e investito in diversi settori, dall’energia al gioco d’azzardo legale. Non è esercizio teorico, si tratta piuttosto di dati che emergono dalle indagini antimafia degli ultimi 15 anni. Di certo le tracce portano molto distante dal fortino che fu di via Bologna a Casal di Principe, la villa è ormai confiscata e gestita da due cooperative che si prendono cura di ragazzi e ragazze autistici. Gli indizi portano, per esempio, in quella che fu considerata per moltissimo tempo la succursale del clan dei casalesi: l’Emilia-Romagna, in particolare Modena, dove hanno messo radici i più fedeli luogotenenti di Sandokan.Riannodando i fili della storia criminale degli Schiavone e del loro clan, partendo da Modena, ecco che all’orizzonte si staglia l’isola di Malta, il buco nero dell’Europa, dove i soldi sporchi subiscono un trattamento di lavaggio rapido e profumano di pulito. Il padrino, dunque, potrebbe finalmente risolvere l’enigma che dura da 20 anni, nato quasi per caso, quando cioè il suo figlio prediletto Nicola smarrì il portafoglio per le strade della cittadina emiliana.Gli investigatori che seguivano l’erede al trono avevano trovato nel borsello alcuni documenti interessanti: tra questi un biglietto da visita di un imprenditore italiano residente a Malta. Da questo indizio sono iniziate le intercettazioni, ma l’indagine finirà presto in un nulla di fatto per la scarsa collaborazione dell’autorità maltese. Le prime indagini avevano, però, confermato un forte interesse degli Schiavone sull’isola maltese. E dimostrato un solido legame con quell’imprenditore ancora molto attivo e titolare all’epoca di due società registrate a Malta. Che interessi aveva il figlio di Sandokan sull’isola? Per quale motivo aveva intessuto rapporti con imprenditori del posto pochi anni dopo l’arresto del padre? Un mistero destinato a durare ancora poco o forse molto. In questa ricerca del tesoro di Sandokan, a differenza di altre volte, gli investigatori hanno un vantaggio non da poco: il boss ha deciso di parlare e raccontare tutto. E tutto vuol dire anche svelare che fine hanno fatto i milioni accumulati illegalmente durante il suo regno.Pentiti su Sandokan«La famiglia Schiavone è grandissima», ha raccontato Roberto Vargas, collaboratore di giustizia ed esponente del clan dei Casalesi. Questo significa avere una rete più estesa di familiari e di teste di legno collegate ai congiunti in grado di riciclare vagonate di soldi.Un altro fattore che rende potenzialmente rilevante la collaborazione di Schiavone sono i rapporti tra i vertici del clan dei Casalesi, struttura simile alla mafia siciliana, e gli altri clan campani. «Perché per noi casalesi la famiglia Moccia era come la famiglia Schiavone a Casale», ha raccontato Vargas.Non solo i legami strettissimi con la camorra dei Moccia, abili impresari nel settore degli appalti pubblici e in quello petrolifero, ma anche i Mallardo e quindi l’alleanza di Secondigliano, la più potente organizzazione criminale campana.Sono molteplici gli imprenditori asserviti e diversi i settori di business, dalle truffe ai fondi europei al settore edilizio, dalle scommesse agli appalti ferroviari fino al traffico illecito di rifiuti, comparto del quale Sandokan beneficiava in termini di utili, ma del quale si occupava l’altro vertice del clan, la fazione Bidognetti.«Negli anni Ottanta, si sono imposti nel settore rifiuti, si sono inseriti grazie a Cipriano Chianese, l’avvocato imprenditore, e Gaetano Cerci, un parente di Francesco Bidognetti, ma quest’ultimo non capiva niente, prendeva solo i soldi. Schiavone non si è mai occupato della vicenda, lui faceva le bufale, era legato ai La Torre di Mondragone», racconta Nunzio Perrella, camorrista fino al 1992, l’anno dell’inizio della collaborazione con la giustizia.In provincia di Caserta molti caseifici erano nell’orbita della famiglia del boss. Per avere una misura di quanto hanno guadagnato, basta fare due conti in tasca: negli anni d’oro in cui tonnellate di rifiuti tossici venivano sversate nel ventre delle campagne del casertano, i vertici del clan incassavano un miliardo di lire al mese. Solo dal comparto rifiuti. Schiavone aiuterà lo stato a trovarli? Se lo farà la collaborazione potrà dirsi riuscita.© Riproduzione riservataPer continuare a leggere questo articoloAbbonatiSei già abbonato?AccediGiovanni Tizian e Nello TrocchiaGiovanni Tizian. Classe ’82. A Domani è capo servizio e inviato cronaca e inchieste. Ha lavorato per L’Espresso, Gazzetta di Modena e ha scritto per Repubblica. È autore di numerosi saggi-inchiesta, l’ultimo è il Libro nero della Lega (Laterza) con lo scoop sul Russiagate della Lega di Matteo Salvini.Nello Trocchia è inviato di Domani, ha realizzato lo scoop sulle violenze nel carcere di Santa Maria Capua Vetere pubblicando i video e un libro sul Pestaggio di stato, Laterza editore. Ha firmato inchieste e copertine per “il Fatto Quotidiano” e “l’Espresso”. Ha lavorato in tv realizzando inchieste e reportage per Rai 2 (Nemo) e La7 (Piazzapulita). Ha scritto qualche libro, tra gli altri, Federalismo Criminale (2009); La Peste (con Tommaso Sodano, 2010); Casamonica (2019) dal quale ha tratto un documentario per Nove e Il coraggio delle cicatrici (con Maria Luisa Iavarone). Ha ricevuto il premio Paolo Borsellino, il premio Articolo21 per la libertà di informazione, il premio Giancarlo Siani. È un giornalista perché, da ragazzo, vide un documentario su Giancarlo Siani, cronista campano ucciso dalla camorra, e decise di fare questo mestiere. Ha due amori, la famiglia e il Napoli.
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