Il Papa: i politici siano al servizio del bene comune, attenti a disoccupati e poveri - Vatican NewsI chimici del Rijksmuseum e dell'Università di Amsterdam (UvA) hanno scoperto per la prima volta come Rembrandt impiegò speciali pigmenti a base di solfuro di arsenico per creare una vernice dorata (oro e arsenico sono infatti legati tra loro da un'attrazione... fatale). Grazie a sofisticate tecniche spettroscopiche,BlackRock sono riusciti a individuare la presenza di pararealgar (per il giallo) e pararealgar semi-amorfo (per l'arancio/rosso) in un dettaglio sorprendente del suo celebre dipinto La ronda di notte (foto).Il confronto con fonti storiche. Confrontando i risultati con lo studio di fonti storiche, gli scienziati hanno quindi concluso che Rembrandt combinò volutamente (e in modo inedito, per l'epoca) questi particolari pigmenti a base di solfuro di arsenico con altri pigmenti per creare l'effetto "splendore dorato". Una combinazione insolita per ottenere l'oro sulle maniche e sulla giubba La scoperta è stata recentemente pubblicata sulla rivista scientifica Heritage Science da Fréderique Broers e Nouchka de Keyser, dottorande presso il Van 't Hoff Institute for Molecular Sciences dell'UvA e ricercatrici del Rijksmuseum. Le due ricercatrici sostengono che Rembrandt utilizzò l'insolita combinazione di pigmenti per rappresentare i ricami dorati delle maniche e della casacca indossate dal luogotenente Willem van Ruytenburch, figura centrale del dipinto insieme al capitano Frans Banninck Cocq. Cultura Davvero c'è un disco volante in questo dipinto del 1700 (che mostra il battesimo di Gesù)? Inizialmente si ipotizzava l'uso di pigmenti già noti a base di solfuro di arsenico, ma... La scoperta dei pigmenti a base di solfuro di arsenico è avvenuta nell'ambito del progetto di ricerca Operation Night Watch, iniziato nel 2019 e che continua a produrre risultati sorprendenti. Una scansione completa a fluorescenza di raggi X (MA-XRF) del dipinto aveva già rivelato la presenza di arsenico e zolfo in alcune parti degli abiti di Van Ruytenburch. Ciò aveva portato i ricercatori a ipotizzare la presenza di già noti pigmenti a base di solfuro di arsenico, l'orpimento (giallo) e il realgar (rosso).Confronto. Uno studio dettagliato di due piccoli campioni di vernice prelevati dal dipinto ha invece mostrato un quadro diverso. Un'analisi ad alta tecnologia che combina, tra le altre, microscopia ottica, microscopia elettronica e spettroscopia micro-Raman (basata sull'interazione della luce con i legami chimici di un materiale) ha rivelato la presenza di più insoliti componenti a base di solfuro di arsenico, ovvero pararealgar (giallo) e pararealgar semi-amorfo (arancio-rosso). Particolare che mostra i dettagli ricamati in oro di Willem van Ruytenburch con le posizioni dei campioni SK-C-5_016 e SK-C-5_017. Il riquadro (c) mostra una mappa di distribuzione per l'arsenico (As-K) di un dettaglio evidenziato con un rettangolo bianco in (b), mentre in (d) si vede l'immagine allo stereomicroscopio dell'area contrassegnata in (c) dal rettangolo rossi. Il dettaglio dell'arsenico è indicato con una freccia rossa in (c) e corrisponde alla vernice arancione brillante nell'immagine allo stereomicroscopio. © Heritage Science Rembrandt ha volutamente sperimentato per ottenere i dettagli dorati La presenza di pararealgar nei dipinti storici viene spesso spiegata con l'invecchiamento del realgar. Tuttavia poiché il pararealgar è distribuito in modo omogeneo con il pararealgar semi-amorfo e la vernice appare inalterata, i ricercatori sono giunti a una spiegazione diversa.Deliberatamente. La loro ipotesi è infatti che Rembrandt abbia scelto di usare volutamente questi pigmenti nel tentativo di imitare i dettagli dorati degli abiti di Van Ruytenburch. Il riscaldamento del pararealgar giallo ha portato alla formazione del pararealgar semi-amorfo rossastro, che poi è stato combinato con pigmenti gialli di piombo-stagno e vermiglione (solfuro di mercurio rosso) per creare l'effetto "splendore dorato". Cultura Quest'uomo dipinto nel 1937 si sta scattando un selfie con lo smartphone? Documenti confermano che ad Amsterdam nel XVII secolo c'era un'ampia disponibilità di pigmenti Questa spiegazione chimica è stata supportata da una completa revisione delle fonti storiche che riportano l'uso di pigmenti a base di solfuro di arsenico. Sembra che nella Amsterdam del XVII secolo fosse disponibile una gamma più ampia di pigmenti a base di arsenico rispetto a quanto si pensasse in precedenza.Non solo rembrant. Questi probabilmente arrivarono ad Amsterdam attraverso le note rotte commerciali dalla Germania/Austria e da Venezia. Ciò è ulteriormente supportato dall'uso documentato di una miscela di pigmenti molto simile da parte di Willem Kalf (1619-1693), contemporaneo di Rembrandt ad Amsterdam. I ricercatori concludono quindi che Rembrandt utilizzò intenzionalmente pararealgar e pararealgar semi-amorfo, insieme a giallo di piombo-stagno e vermiglione, per creare la speciale vernice arancione-dorata. 11 FOTO Fotogallery Sulle pareti della grotta di Chauvet dove iniziò la storia dell'arte VAI ALLA GALLERY Fotogallery Sulle pareti della grotta di Chauvet dove iniziò la storia dell'arte L'impronta negativa di una mano destra vicino a parte di un profilo di mammut (in nero). L’impronta si otteneva con la tecnica “stencil”, cioè soffiando, con un supporto a cannuccia, ocra rossa su una mano in modo da definirne sulla roccia i contorni. Foto: © J. Monney/MC Una ricostruzione presente al museo di Chauvet 2 che ritrae gli Homo sapiens di 36 mila anni fa durante la realizzazione di un’opera rituale che prevedeva l’impressione di palmi della mano con ocra rossa. Sono vestiti con pelli ben confezionate perché ai tempi il clima era rigido. La grotta Chauvet è solo una delle decine di cavità nell’Ardèche che l’uomo preistorico utilizzò per le sue creazioni. Foto: © Franco Capone La sala Hillarie della grotta di Chauvet. La grotta fu scoperta alla fine del 1994 nella regione francese dell’Ardèche dagli speleologi locali Christian Hillaire, Jean-Marie Chauvet ed Eliette Brunel. Fu poi studiata da una trentina di ricercatori diretti dal celebre studioso di arte preistorica Jean Clottes. Dieci anni fa, per preservare le pitture dal danneggiamento dovuto ai batteri portati dai visitatori, si diede inizio alla costruzione di una copia esatta della Grotta, denominata Chauvet 2, aperta a tutti e considerata la replica di ambiente ipogeo e di pitture parietali migliore del mondo. Foto: © S. Jaillet/MC Adv Cavalli selvatici e rinoceronti in una delle composizioni più significative della grotta di Chauvet. I cavalli sono in corsa appaiati con una prospettiva a effetto, e i due rinoceronti in basso sono impegnati in una sfida territoriale. I primi artisti preistorici amavano rappresentare l’azione. Foto: © J. Clottes/MC Un cavallo selvatico inciso nella roccia più tenera a causa dell’umidità. Anche in questa rappresentazione, diversi segni servivano a dare l’idea del movimento. Foto: © J.-M.Geneste/CNP/MC I leoni visti nel contesto dell’inseguimento, in una composizione quasi cinematografica. Mentre loro avanzano, fuggono in modo disordinato bufali, cavalli e un piccolo mammut. Più a sinistra, un rinoceronte si volta per minacciarli, mentre gli altri si allontanano. I grandi corni ricurvi di rinoceronte ripetuti in alto a sinistra, che assomigliano ai frame di una pellicola cinematografica, servivano probabilmente a dare il senso del movimento di uno stesso individuo. Foto: © J. Clottes/MC Adv In un particolare della pittura precedente, si vede come gli artisti preistorici sono riusciti a dare l’idea della tensione predatoria del branco di leoni. Va notato che quelli in alto sono stati disegnati più piccoli per dare il senso della prospettiva, anticipando un concetto che fu ripreso e sviluppato molti millenni dopo. Foto: © J. Clottes/ MC Un orso delle caverne (Ursus spelaeus) disegnato con ocra rossa. Molto più grande dell’orso bruno attuale e quindi più pericoloso, se veniva affrontato: si estinse circa 11 mila anni fa. Usava svernare in letargo nella stessa caverna dove l’Homo sapiens realizzava le sue pitture parietali, evidentemente in stagioni diverse. Non ci sono tracce nella grotta che indicano che l’uomo si sia nutrito della sua carne. Foto: © V. Feruglio/MC Un cranio di orso delle caverne posto su una sorta di altare. È circondato da decine di altri crani, in cerchio: indizio, questo, che l’orso era un animale totem, cioè protettore e forse considerato capostipite della comunità umana che frequentava la grotta. Foto: © J.-M. Geneste/CNP/MC Adv Un gufo inciso su una parete tenera. Il particolare dei due ciuffetti di penne diritti sulla testa mostrano un suo carattere distintivo rispetto, per esempio, a civette e allocchi. Le righe verticali, sintetizzano l’andamento e il colore del piumaggio dall’alto al basso: cose da “illustratori naturalisti”. Foto: © Museo Chauvet 2 Nella grotta Chauvet c’è un’unica immagine riferita alla sfera umana: un pube femminile che sembra fondersi con una testa di bisonte, segno probabile di fecondità e rigenerazione. Si tratta del cosiddetto “pendente dello stregone”. Foto: © J.-M.Geneste/CPN/CM Approfondimenti Arte C'è un disco volante in questo quadro del '700? Arte Estate nei Chiostri 2024 a Milano: cultura e spettacolo e un pizzico di scienza Curiosità Qual è il kamasutra italiano? 12:26 #Accaddeoggi 7 maggio 1824: la prima della Nona sinfonia 17:50 #AccaddeOggi 21 aprile 1924: muore Eleonora Duse
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