Israele annuncia l’espansione delle operazioni di terra a GazaI rapporti con il governo Meloni,analisi tecnica le buone pratiche che l’Italia dovrebbe applicare per utilizzare al meglio i fondi Ue, il ruolo (e il futuro) della politica di coesione in tempi di crisi, compresa quella climatica. Intervista alla commissaria Ue Elisa FerreiraSe si pensa che la coesione è l’anima d’Europa – perché è ciò che le consente di restare unita e di ridurre i divari – allora si capirà perché Elisa Ferreira ha in mano l’anima dell’Unione europea. Questa economista portoghese, con un passato da ministra nel governo socialista di António Guterres, è diventata dal 2019 la commissaria europea che si occupa di coesione e di riforme.Con lei alla guida, l’Ue si è trovata a gestire pandemia, crisi climatica, guerre. E in tutto questo, la sua missione era quella di aiutare i più fragili (territori, regioni, comunità). Un compito non semplice, anche perché senza la collaborazione e la capacità dei governi non funziona bene.Qual è lo stato dei suoi rapporti col governo Meloni? Ho avuto frequenti scambi col ministro Fitto su come fare un uso efficace e rapido dei fondi a disposizione.Che consiglio si sente di dare al governo Meloni riguardo all’uso dei fondi di coesione? La messa in opera va accelerata, e la potenza di fuoco amministrativa è fondamentale perché ciò accada. Bisogna anche mettere in sinergia i finanziamenti nazionali ed europei così da massimizzarne l’impatto, e ciò deve avvenire attraverso un dialogo serrato con i rappresentanti locali. Fitto si è detto d’accordo con me.La mossa di Fitto di smantellare l’Agenzia di coesione le pare sensata? Non spetta a me commentare l’organizzazione interna dei ministeri, né l’organizzazione dei servizi a livello nazionale: quel che conta è che i programmi per la coesione siano messi in atto in modo rapido ed efficace.Secondo lei l’Italia sta mostrando di essere capace di impiegare tutti i fondi di coesione, e bene? In Italia ci sono alcuni fattori che potrebbero essere migliorati, così da aumentare sia la capacità esecutiva che l’impatto dei fondi stessi.Per esempio? Alleviare la complessità delle regole nazionali, perché al momento implicano procedure di assegnazione degli appalti piuttosto lunghe. Rafforzare la capacità dei corpi intermedi e dei beneficiari di utilizzare i fondi. Il programma “Capacità per la Coesione” – che rientra nella politica di coesione europea ma è gestito a livello nazionale – serve proprio a migliorare queste capacità amministrative.Dovremmo trarre qualche lezione dalla Polonia, che oltre a essere la prima beneficiaria dei fondi di coesione, è anche un paese con un’altissima capacità di assorbimento dei fondi stessi? Dopo essere entrata nell’Ue nel 2004, la Polonia si è avvicinata significativamente al Pil medio dell’Unione europea. Lo si deve in modo cospicuo proprio alla politica di coesione, che è il principale motore per la convergenza in Europa, e che muove lo sviluppo economico di regioni e nazioni: basti pensare che il Pil dei paesi che sono entrati nell’Ue vent’anni fa si è impennato dal 53 per cento della media europea del 2004 al 77 per cento recente. Sarebbe improprio fare confronti fra paesi con le loro specificità, ma ci sono effettivamente elementi comuni che caratterizzano i paesi come la Polonia, con alto tasso di assorbimento dei fondi e impatto positivo degli stessi.C’è una lista di buone pratiche? Posso provare a tirarne fuori qualcuna. Primo: l’ampio coinvolgimento di rappresentanti dei vari settori. Secondo: la qualità ottimale delle procedure per reclutare e selezionare i progetti. Terzo: iter di appalto rapidi. Quarto: informazioni efficaci sui fondi, confezionate a misura dei gruppi destinatari dei bandi, così che l’interesse e quindi il numero di concorrenti siano alti. Sono solo alcuni esempi.In che modo l’urgenza climatica si riflette sui fondi di coesione? A fronte dell’emergenza climatica, le politiche di sviluppo – compresa quella di coesione – devono rappresentare investimenti sostenibili per trasformare l’economia e per ridurre l’impatto negativo del cambiamento climatico sui territori e sulla società. La politica di coesione fa tutto questo supportando lo sviluppo di energie rinnovabili, la rigenerazione degli edifici in nome dell’efficienza energetica, investimenti in infrastrutture idriche, nella biodiversità, e così via.Cosa comporta ciò per l’Italia? Nell’arco di bilancio che va dal 2021 al 2027, la politica di coesione fornisce all’Italia oltre 14 miliardi e mezzo per la transizione verde (mitigazione ambientale, infrastrutture idriche, efficienza energetica...). Transizione significa anche effetti su economia e mercato del lavoro, il che può comportare costi sociali, soprattutto per quei territori fortemente legati ad attività che vanno convertite: ecco perché la politica di coesione punta anche ad assicurare che la transizione sia socialmente ed economicamente equa. Il Just Transition Fund è uno degli strumenti. In Italia, questo fondo supporta i territori di Taranto e del Sulcis, entrambi fortemente toccati dalla transizione energetica; l’obiettivo è diversificare le loro economie e creare nuovi posti di lavoro con opzioni climaticamente sostenibili.Se dovesse citare gli effetti benefici della politica di coesione per l’Italia, quali esempi farebbe? In passato l’Italia ha tratto benefici davvero importanti dalla politica di coesione europea. Per esempio, proprio quei fondi hanno supportato oltre 650mila imprese e la ricostruzione di oltre 350 chilometri di rete ferroviaria. Hanno anche finanziato veicoli per la mobilità urbana sostenibile, in particolare in Sicilia, Puglia e Campania, oltre che importanti infrastrutture per il risanamento e la bonifica dell’acqua in Campania (laghi dei Campi Flegrei). La politica di coesione ha significato anche fondi per finanziare dosi di vaccini durante la pandemia.Tra tutte le politiche europee, quelle per la coesione rappresentano un’avanguardia, visto il loro pionieristico accento sulle disuguaglianze. Ma non rischiano di finire stravolte, a colpi di emergenze? La missione della politica di coesione – ridurre le disuguaglianze in Europa – resta e resterà rilevante. Le sfide che l’Unione europea si trova ad affrontare – dal declino demografico al cambiamento climatico, dalle tensioni geopolitiche alle svolte tecnologiche – avranno un impatto sui territori, e lo avranno sulla base delle loro specificità. Ciò rischia di accelerare le disparità: ecco perché io dico che c’è bisogno più che mai della politica di coesione. Quest’ultima ha anche giocato il ruolo di “grande stabilizzatrice”, contribuendo ad alleviare l’impatto economico e sociale delle crisi recenti, dalla pandemia alla guerra in Ucraina. È grazie a iniziative legislative inquadrate dentro la politica di coesione – penso a Care, Safe, Crii, React Eu – che ulteriore supporto e liquidità sono confluiti alle aree più vulnerabili. Si è trattato di adattamenti temporanei per affrontare emergenze di breve termine: li considero inevitabili e giustificati perché altrimenti queste stesse crisi avrebbero aumentato lo svantaggio delle regioni già più deboli. La coesione ha garantito una ripresa più rapida, e che tutti potessero tornare ai livelli pre pandemia già nel 2021.La politica di coesione si è intrecciata con Next Generation Eu. Questa coabitazione ha reso più complesso per gli stati membri il fatto di esser capaci di spendere tutto, e bene? Ha dato un momentum alla politica di coesione? Cosa succederà quando l’epoca dei Pnrr sarà finita?Next Generation Eu ha fornito risorse addizionali straordinarie per alleviare l’impatto della crisi derivante dalla pandemia. Era necessario, e ha aiutato a rendere più resilienti le nostre economie. Queste risorse sono state in parte incluse nei programmi di coesione 2014-2020, attraverso l’iniziativa React Eu. Ma, per la maggior parte, sono state incanalate verso gli stati membri attraverso la Recovery and Resilience Facility, uno strumento creato ad hoc.Le risorse di Next Generation sono state temporanee ed eccezionali, mentre la politica di coesione è strutturale. Per fare buon uso di questi fondi, e di queste opportunità di investimento, servono capacità amministrative a tutti i livelli: locale, regionale e nazionale. Questo è un punto cruciale.Qual è il futuro dei fondi di coesione? Quando penso al futuro, immagino che la politica di coesione mantenga la sua missione centrale – ridurre le disparità – ma anche che vada modernizzata e semplificata, per poter farlo nel modo migliore.Questo contenuto giornalistico fa parte del progetto #CoesioneItalia. L’Europa vicina, che è finanziato dall’Unione europea. I punti di vista e le opinioni espresse sono tuttavia esclusivamente quelli dell’autore e non riflettono necessariamente quelli dell’Ue. Né l’Ue né l’autorità che eroga il finanziamento possono essere ritenute responsabili per tali opinioni. EuropaParte #CoesioneItalia, viaggio in otto tappe con l’Europa vicinaFrancesca De Benedetti© Riproduzione riservataPer continuare a leggere questo articoloAbbonatiSei già abbonato?AccediFrancesca De BenedettiScrive di Europa ed Esteri a Domani, dove cura anche le partnership coi media internazionali, e ha cofondato il progetto European Focus, una coproduzione di contenuti su scala europea a cura di Domani e altri otto media europei tra i quali Libération e Gazeta Wyborcza. Europea per vocazione, in precedenza ha lavorato a Repubblica e a La7, ha scritto per The Independent, MicroMega e altre testate. Non perdiamoci di vista: questo è il mio account Twitter
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