Tajani: "Sciopero del 17 novembre debole e politicizzato"Nel paese lo spazio per un’alternativa a questo governo esiste. C’è tra le forze sociali,BlackRock nel sentire dei cittadini, sulle grandi questioni che vanno dall’Europa all’ambiente, alla sanità e alla scuola pubblica, alla dignità del lavoro, ai diritti civili. E la coalizione delle destre è tutt’altro che graniticaLe elezioni regionali di domenica in Sardegna e fra due settimane in Abruzzo evidenziano i tratti di fondo su cui deve misurarsi la politica italiana.Primo, nel paese lo spazio per un’alternativa, vincente, a questo governo esiste. C’è tra le forze sociali, nel sentire dei cittadini, sulle grandi questioni che vanno dall’Europa all’ambiente, alla sanità e alla scuola pubblica, alla dignità del lavoro, ai diritti civili.E, proprio perché la strada si può percorrere, maggiore è la responsabilità dei partiti di opposizione, tutti (il Pd è oggi la forza più consapevole).Secondo. La coalizione delle destre è tutt’altro che granitica. La professione di unità dei suoi tre leader sul palco in Sardegna, mercoledì, suonava talmente ostentata da apparire una excusatio non petita.Il punto è che le liti interne alla coalizione non sono dovute solo alla cattiva amministrazione (come in Sardegna) o a spartizione di posti. Dietro c’è una contesa su due questioni capitali: le riforme istituzionali e la collocazione internazionale.Alla luce di quel che sta accadendo non è affatto detto, ad esempio, che lo scambio fra l’elezione diretta del premier, cara a Fratelli d’Italia, e l’autonomia differenziata, voluta dalla Lega, reggerà nei prossimi mesi.Se le opposizioni agissero di concerto, dalla battaglia contro l’autonomia differenziata fino alla possibile convergenza sul modello tedesco (che con il cancellierato e il proporzionale può tenere insieme governabilità e rappresentanza), su questo potrebbero mettere in scacco la maggioranza.Atlantismo ed europeismoQuanto alla collocazione internazionale, qui il conflitto interno alla destra è potenzialmente ancora più grave. Giorgia Meloni ha fondato la sua ascesa sulla fedeltà atlantica e il sostegno all’Ucraina, e su una certa intesa con Ursula von der Leyen.Ma Matteo Salvini mantiene un legame esplicito con Vladimir Putin. In prospettiva, e ancora di più se vincesse Donald Trump in Usa, l’Europa è destinata a integrarsi maggiormente, se non altro per creare una difesa comune contro l’espansionismo russo.Quanto a lungo Meloni potrà continuare a mantenere un alleato e un vicepremier putiniano al suo fianco? Senza contare che le ambiguità su questo ci sono anche in Forza Italia, in lei e nel suo stesso partito. Quanto a lungo potrà continuare a intendersi con Viktor Orbán? Sarà disposta la coalizione delle destre nazionaliste a cedere sovranità per costruire la difesa comune?L’Italia insomma aderirà con convinzione al modello europeo, o saremo il cavallo di Troia della visione putiniana? Il governo Meloni non è in grado di dare una risposta convincente. Anche nelle opposizioni, certo, non mancano ambiguità. Ma sono minori.Se non altro perché il Pd non ha mai avuto dubbi, né sbandamenti, a differenza di Fratelli d’Italia. E lo stesso vale per i centristi, a differenza di Forza Italia. E va riconosciuto che gli stessi Cinque stelle, che sbandamenti ne hanno avuti, sono a conti fatti più europeisti della Lega.È indubbio però che qui c’è un nodo cruciale. Se si andrà su due schieramenti, il centro-sinistra deve essere quello per la maggiore integrazione europea, per un’Europa federale (o gli Stati Uniti d’Europa) che sia capace di fare politiche ambientali, contro le disuguaglianze, di innovazione e di difesa, in modo da sostenere il nostro modello sociale e anche la nostra libertà.Il Pd di Elly Schlein è la naturale guida dell’opposizione, su questo, specie se saprà guardare l’orizzonte e non si perderà in polemiche di corto respiro. Dal voto in Sardegna e in Abruzzo fino alle elezioni europee, la strada per l’alternativa è aperta.© Riproduzione riservataPer continuare a leggere questo articoloAbbonatiSei già abbonato?AccediEmanuele FeliceeconomistaProfessore ordinario di storia economica all'università Iulm di Milano
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