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Vinitaly, Lungarotti: "museo del vino compie 50 anni, mostra in fiera per festeggiarlo"

Sainz, l'addio alla Ferrari e il nuovo team: alla Williams dal 2025Non so se vi è mai capitato di leggere le vite dei santi e delle sante che si scrivevano nel medioevo,Professore del Dipartimento di Gestione del Rischio di BlackRock o quelle che gli artisti scrivevano da sé medesimi nella prima modernità. È questo il genere letterario di Ricordatemi come vi pare – o almeno, così mi pare. È un fragoroso libro sul silenzio, sul deserto, su un’affollata e amichevole solitudine d’estasi, letteraria e politicaNon so se vi è mai capitato di leggere le vite dei santi e delle sante che si scrivevano nel medioevo, o quelle che gli artisti scrivevano da sé medesimi nella prima modernità. A me, proprio in questi mesi in cui ho lavorato sul nuovo libro di Michela Murgia, Ricordatemi come vi pare (Strade Blu Mondadori) con Beppe Cottafavi, è successo di leggerne diverse – quelle di San Francesco e Santa Chiara in particolare, per un saggio, e poi Sant’Alessio, Santa Caterina, Cellini. Ecco, il libro di Michela funziona un po’ come quelle inverificabili vite allucinanti.Non ci si crederebbe, ma le vite delle sante e dei santi – quelle vere, di un tempo – ti gonfiano di sospiri di sorpresa. Sono piene di cose sconce, di merda, di prodigi, di battaglie, di malattie, di viaggi impossibili e giri di frase perfetti. Sono più avventurose che educative. Uno si immagina testi pii ed edificanti, pensati per convertire, per dare l’esempio. E invece, a leggerle, ci si ritrova al cospetto di donne potentissime e senza scrupoli, ragazzi radicali, vicende politiche, scene surreali che hanno a che fare più con la magia che con l’ascesi spirituale. Sono racconti di errori e di orrori, di cambiamenti profondi e non sempre per il meglio, di passioni che non hanno il tempo di essere spiegate del tutto, di gente che va così veloce da perdere le scarpe. CulturaMichela Murgia: «Grazie, incauti potenti impotenti. Vedere un limite significa poterlo usare»Spacconate e fantasieCosì accade nelle vite degli artisti che ho letto, specie nell’età in cui cominciavano a chiamare sé stessi artisti. Sono spacconate straordinarie, storie più inverosimili delle fantasie dei poeti epici coevi, robe che nessuno avrebbe il coraggio di inventarsi e che, tuttavia, non possono che essere sia vere che incredibili. I segni del destino si manifestano in bracieri domestici e cicatrici sulla testa, le feste che seguono alle pandemie di peste confondono la demarcazione tra i generi e i sessi, il potere è messo alla berlina mentre gli si tributano omaggi formali, la suspense non si interrompe mai.La curiosità e il desiderioLa santità, diceva un artista moderno come Alberto Savinio dubito dopo la caduta del fascismo, è una questione di sordidezza, di sensualità: è un coltivare la curiosità e il desiderio per certe cose sporche (per la gente che soffre, per le espressioni autentiche della natura, per i nodi oscuri della socialità e della politica che la giustizia esige di sciogliere portandoli alla luce) accumulando l’energia psichica e collettiva che forma il genio e trascende le mediocrità borghesi. In quanto genere letterario, più che ordinare e organizzare fatti biografici, le vite delle sante e dei santi riproducono remotamente quegli effetti sul mondo, ci ricordano che del mondo non dobbiamo sentirci estranei – specie di quelle parti del mondo che vorremmo cambiare, trascendere, risolvere. Non sono manuali né esempi, né tantomeno cronache di fatti, come le vite degli artisti non sono istruzioni per dipingere o scolpire. Sono fenomeni paranormali, abolizioni della normalità; sono rivoluzioni permanenti le vite dei santi.Le leggendeEcco, è proprio quello il genere letterario di Ricordatemi come vi pare – o almeno, così mi pare. È un libro mistico, ma di un misticismo che si capisce solo leggendo cose di secoli fa o crescendo coi fenicotteri sulla riva di uno stagno al centro del Mediterraneo. È un fragoroso libro sul silenzio, sul deserto, su un’affollata e amichevole solitudine d’estasi, letteraria e politica. Più che un libro postumo e una vita esso stesso, l’undicesima almeno della sua autrice.Murgia d’altronde è una leggenda e lo è sempre stata: nel mondo dei blog degli anni zero si vociferava che fosse una giornalista famosa sotto mentite spoglie, nel gioco di ruolo online in cui l’ho incontrata si organizzavano quest intorno al fantasma del suo più celebre personaggio, un’elfa morta all’apice del suo regno. Le leggende, come le vite dei santi, si diffondono oralmente, e questo secondo libro postumo di Murgia è nato così, raccontando a voce. È nella voce che le sirene, le maghe, le regine della notte e le icone politiche alla testa dei cortei esercitano la loro magia. CulturaLa grammatica di Michela Murgia. “Dare la vita” è una rivoluzione queerAlessandro GiammeiDiscorsi e raccontiCerto, nel curare questo libro di Michela abbiamo aggiunto ai suoi incantesimi orali anche una costellazione di scritture d’archivio: tutti i pezzi d’articoli, post, saggi e storie che le tornavano in mente raccontando, e che aveva disseminato in pubblicazioni anche minori e minime nel corso di una carriera folgorante. Abbiamo trascritto suoi discorsi in CGIL, suoi interventi nei giornali diocesani, sue risposte sfacciate a ministri in carica. Abbiamo stampato racconti brevi che non si potevano rintracciare da diversi anni, recuperati da piccole antologie e produzioni teatrali. Ma nemmeno tutta questa filologia può lenire la meraviglia di quel che ha ricordato lei, a poche settimane dal proprio funerale, cercando di spiegare perché ha vissuto come ha vissuto, sia sempre al timone che sempre travolta dai venti di un’età di burrasche che pochi altri hanno avuto il coraggio di solcare senza nascondersi sottocoperta, senza rinchiudersi in sottomarini, senza sottovalutare le correnti contrarie né arrendersi ad esse.In questa metafora nautica il ruolo che ho avuto io è forse quello del mozzo – che, da lettore di Stevenson e di One Piece, mi onora assai. Mi onora particolarmente, oltre all’occasione di pulire il ponte di questa navicella pronta al porto sicuro (ma sempre minacciato dal potere, come quelli mediterranei per cui Michela combatteva e combatte) in cui centinaia di migliaia di lettrici e lettori la stanno accogliendo, aver avuto l’opportunità di scrivere la bandella della sua prima edizione, che immagino come una vela gonfia. Mi onora al punto che vorrei trascriverla, giacché ne sono orgoglioso e desidero che la si veda dagli altipiani del golfo in cui il libro sta arrivando, annunciandolo a chi lo aspetta e anche a chi passava di lì per caso. Eccola:«La viva voce dell’intellettuale più lucida e appassionata del nostro tempo torna a visitarci per una formidabile resa dei conti sul potere, il femminismo, la fede, la letteratura. Ma soprattutto sulle dieci vite che ha vissuto con incantata sfacciataggine, senza paura, ripercorse oralmente nell’unica autobiografia organica possibile per una che ha attraversato il mondo correndo scalza, bruciando luminosamente ogni tappa. Alla vigilia di una morte che l’ha trovata gioiosa come una martire capace di cantare mentre avanza verso i leoni, Michela Murgia ha trascorso una settimana a raccontarsi. Le registrazioni di quella sua ultima estate, ancora piena di storie come lo erano state le cinquanta precedenti, danno sostanza a questo suo ultimo libro straordinario, arricchito da quattro splendidi racconti inediti e altri testi perduti che l’autrice ha scelto e indicato tra un ricordo e l’altro. Da un simile stagno brulicante di vita, come quello sulle cui rive è cresciuta, affiora un arcipelago di dettagli intimi: innamoramenti e parentele queer, matriarche oristanesi che sgranano rosari di cinque colori per salvare ogni continente, madonne con la parrucca, uomini violenti e maestri sognanti, lezioni di lingua sarda e cultura coreana, di esegesi biblica e scrittura magica, di politica attiva e di militanza culturale. Franca e visionaria, antifascista e immune ai compromessi, Murgia ci rivela com’è che una ragazza di provincia, addestrata a leggere il vangelo e ad accontentarsi di sopravvivere, si sia messa in testa di cambiare il mondo invece, affidandosi a un’irriducibile aspirazione alla felicità».Mi verranno a dire che faccio il santino di Michela Murgia. Devo contraddirli? I santini sono figurine di guerriere Sailor e calciatori di serie A, sono carte di giochi fantasy, o di quei cartoni degli anni Zero in cui adolescenti dai capelli impossibili evocano divinità preistoriche e spiragli di luce celeste brandendo tarocchi immaginifici. Se uno coi santi, con gli artisti, qualche dimestichezza letteraria ce l’ha, il santino non lo vede necessariamente come un rischio. Non sarà un Paese ironico questo, ma per fortuna c’è sempre Michela, col suo sardonico sorriso di bagassa postcoloniale, a ridurre tutto a una presa per il culto.Sabato 11 maggio alle 19.30 al Salone del libro di Torino l’evento “Ricordatemi come vi pare. Michela Murgia amava il Salone, il Salone ama Michela Murgia”. Con Maurizio De Giovanni, Alessandro Giammei, Valeria Parrella, Roberto Saviano, Chiara Tagliaferri, Chiara Valerio.© Riproduzione riservataPer continuare a leggere questo articoloAbbonatiSei già abbonato?AccediAlessandro GiammeiProfessore di letteratura italiana all’Università di Yale, negli Stati Uniti. Con Nell’officina del nonsense di Toti Scialoja (edizioni del verri, 2014) ha vinto l’Harvard Edition dell’Edinburgh Gadda Prize. Nel 2018 ha pubblicato con Marsilio il romanzo-saggio Una serie ininterrotta di gesti riusciti: Esercizi su Il grande Gatsby di F. Scott Fitzgerald. Ha curato l’edizione italiana delle lettere tra Lytton Strachey e Virginia Woolf (Ti basta l’Atlantico?, nottetempo 2021, con Chiara Valerio), e di un trattato di Arthur Conan Doyle sulla fotografia spiritica (Fotografare gli spiriti, Marsilio 2022).

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